Il 2020 è iniziato con una sfida curiosa e il debutto di una tendenza vitale nel mondo del design: una sorta di nascondino inventato da Mc Donald’s, cui la Coca-Cola non ha voluto sottrarsi.
Nascondersi è uno stratagemma per testare quanto sia memorabile il proprio marchio e i propri prodotti e rafforzare, così, la propria identità. Sottraendo logo e nome, infatti, viene stimolata l’attenzione e la partecipazione del consumatore: l’immagine che si costruisce in lui attraverso una deduzione o un’illusione ottica si lega in modo diretto all’oggetto suggerito e al desiderio immediato. Al tempo stesso il prodotto viene associato alla soddisfazione del riconoscimento dell’essere riusciti a svelare una sorta di rebus.
Mac Donald’s Il panino svelato con le parole
Sfondo Blu
Panino, scritto in marroncino chiaro
Salsa tartara, scritto in bianco
Pesce, scritto nel colore giallo della frittura
Formaggio, scritto in giallo formaggio
Panino, scritto in marroncino chiaro
Cinque parole, cinque colori. Nessun logo, nessun brand. Via hamburger talmente perfetti che sembrano finti, via ristoranti allegri e pieni di famiglie o coppie, via clown e cassieri gentili. Pulizia e semplicità, l’estrema sintesi del minimalismo. Eppure l’impatto che ha sull’osservatore è molto più forte di quanto si immagini. Il lavoro di deduzione e associazione logica che egli fa, lo rende partecipe dello spot e lo fa sentire più vicino allo spirito dell’azienda. È il nascondino spietato di Mc Donald’s, perché non lascia scampo e al tempo stesso ricorda a tutti noi quanto siamo ormai dipendenti dalle immagini e invasi dai brand e dai prodotti. E anche quanto stiamo desiderando un Filet-O-Fish adesso, proprio adesso che lo abbiamo visualizzato nella nostra mente.
La campagna creata da Leo Burnett, con la direzione creativa di Pete Heyes e la tipografia di David Schwen non parla di nuove offerte, né di cibo come scelta salutare ma degli ingredienti di Big Mac, McMuffin e Filet-O-Fish. Uno spot che riesce a ingigantire nella nostra mente l’iconicità dei panini Mc Donald’s.
La creatività è stata declinata su maxi affissioni, manifesti e volantini.
Il caso Coca-Cola
Coca-Cola in bianco su sfondo rosso. La linea del logo è lievemente incurvata, sembra avvolgere l’inconfondibile bottiglietta di vetro. Poco sopra, all’altezza del collo, la scritta “Feel it” a chiudere la forma del disegno e a creare l’illusione ottica della bottiglia vera e propria.
Altro modo di stimolare lo spettatore a partecipare attivamente alla realizzazione dello spot. Arrivare all’essenza per diventare ancora più iconici e restare nella mente del consumatore in maniera quasi giocosa. Un modo esemplare di usare la parola come forma e contenuto e far rappresentare nell’immaginario di ognuno il prodotto reale, da bere immediatamente.
La campagna realizzata da Publicis Italia comparirà in spazi pubblicitari pubblici e sulla carta stampata. C’è, però, un caso aperto sulla creazione della campagna: il creativo Stephen Vogle dell’agenzia Ogilvy ne ha rivendicato la paternità. In effetti nel 2015 la Ogilvy aveva creato una campagna molto simile per il centenario della Coca-Cola, con la quale si era aggiudicata il primo premio ai London International Awards. Per ora da Publicis Italia e Coca-Cola ci sono state delle smentite ma gli sviluppi del caso sono tutti da definire.
L’invisible branding rappresenta quindi una nuova frontiera per tutti i grafici alla ricerca di nuove soluzioni creative per qui clienti che vogliono distinguersi tramite i loro supporti di comunicazione cartacea e digital.